Arti marziali e danni cerebrali: il filo rosso tra Chris Benoit e l’MMA

Il mondo del wrestling, professionale e non, venne messo totalmente sottosopra, nel 2007, per una notizia che – perlomeno da fuori – non ci si sarebbe mai potuti aspettare. Chris Benoit, beniamino del pubblico, si era ucciso, portando con sé la propria famiglia. Gli steroidi? Un divorzio? Le speculazioni sono state tante, fin troppe per un uomo che si era contraddistinto sempre come un grande professionista – sono rimaste tali fino all’analisi del suo cervello, realizzata dalla Concussion Legacy Foundation, ai tempi Sport Legacy Institute. L’associazione, con base negli US, è stata fondata dal Dottor Robert Cantu, esperto mondiale di medicina dello sport – con un focus proprio sul tema danni cerebrali, e da Christnskiopher “Harvard” Nowinski, ex-wrestler e neuroscienziato, che aveva sofferto proprio di danni cerebrali dovuti ai traumi causati dallo sport. Se il cervello di Chris Benoit era stato definito come “sciolto” (fu paragonato da Cantu al cervello di un ottantenne con una forte forma di Alzheimer), a distanza di un paio di giorni dal ritrovamento, quello di molti atleti sembra essere in pericolo: dalle class action partite dalla lega nazionale di football americano, fino al divieto di colpire il pallone con la testa per i bambini, il mondo sembra essersi accorto di come gli sport di contatto – che siano propri delle arti marziali o meno – sono un grande rischio per il futuro, oltre lo sport, degli atleti. Su tutti, perché il wrestling come lo conosciamo noi, la WWE, è “finto”, possiamo dirlo una volta per tutte, lo sport che sembra porre un rischio maggiore per chi ne è partecipe sembra essere quello delle arti marziali miste, l’MMA. Secondo una ricerca di qualche anno fa, portata avanti da The Athletic, più della metà dei 170 professionisti intervistati, il 55.3%, dichiarava di aspettare danni permanenti a livello cerebrale (2020). I numeri sono inquietanti, secondo il British Journal Sports Medicine, il 72% degli atleti professionisti, al 2022, era tendente o già nel pieno stato, di un trauma cronico al cervello, ma – come commentato da Dana White, presidente indiscusso dell’UFC, la più grande associazione di MMA al mondo – “fa parte del gioco, tutti ne sono consapevoli”, lui stesso si dice conscio che i suoi trascorsi nella lotta avranno un giorno, potenzialmente, delle conseguenze. C’è allora da discutere la morale del tutto? Mentre il pubblico si gode il sangue, che c’è sempre stato parlando di sport da combattimento, c’è da capire se l’arte marziale rimane appunto una forma di arte o se il concept originale si è un po’ offuscato. C’è sicuramente il sincretismo dei vari stili di lotta, la disciplina della preparazione alla battaglia, i principi che ognuno porta nell’ottagono – l’esempio perfetto in UFC di un’etica propria e nobile è Jiri “il Samurai” Prochazka, ma l’idea che non sia più che uno show sembra essere andata persa. Khabib Nurmagomedov, considerato tra le poche leggende del settore, combatteva appunto per “legacy”, chissà se per qualche centinaio di migliaio di dollari ne vale veramente la pena rimetterci le penne.

Sport
Lascia un commento

I commenti sono moderati. Vi chiediamo cortesemente di non postare link pubblicitari e di non fare alcun tipo di spam.

Invia commento

Twitter:

giovedì 26 Dicembre 2024