La solitudine strafottente

L’espressione è presa da un’intervista a Paolo Crepet in una delle puntate del podcast “Talking Brave” che è possibile ascoltare su Spotify.

Siamo totalmente iperconnessi, ogni giorno parliamo con centinaia di persone, che sia per lavoro o per piacere. Eppure la solitudine non smette di morderci le gambe e provocarci sempre un certo grado di insoddisfazione, oppure, nei casi più seri, di dolore. Ci si può sentire soli anche in mezzo ad una pista da ballo, nel bel mezzo del proprio compleanno, nel letto con la propria dolce metà. Perché?

Non è una domanda a cui si possa rispondere facilmente o in maniera generica per tutti.

Dalle statistiche sembrerebbe che quasi la metà degli italiani sia single. E, per riprendere l’espressione del titolo dell’articolo, diremmo orgogliosamente single. Bisogna però distinguere (almeno) due solitudini diverse: chi è effettivamente solo e chi si sente solo, nonostante non lo sia. E chi dice poi che stando solo sta bene, lo si esclude in questo momento dalle riflessioni, in quanto è risaputo che nell’appagamento e nel benessere di chi ritiene che la vita sia costantemente bellissima, c’è un immobilismo che spesso non permette di trovare le vere profondità dell’anima, le paure umane, le emozioni inquiete e i sentimenti complessi che nei casi più estremi portano a gesti folli. E normalmente, invece, ci accompagnano, esistono nel quotidiano insieme alle persone, come la solitudine.

Bisogna fare un po’ gli equilibristi della propria esistenza, certo. Camminando un piede dietro l’altro sopra una corda stretta, appesa a centinaia di metri dal suolo, senza nessun cavo di sicurezza, con le emozioni che arrivano senza preavviso, colpiscono, ti sconquassano e passano. C’è davvero chi non deve farlo?

Tornando a noi. È possibile credere che questa solitudine possa bastarci? È possibile soffrire per la nostra condizione e decidere di annientare il dolore conficcandolo ancora più in fondo, abbracciandolo persino, portandolo con orgoglio, come un vessillo? E in questa solitudine strafottente, dove troviamo finalmente il nostro equilibrio, rimanere incastrati? Barattare tutte le emozioni che possono arrivare, dondolandoci lassù, con la garanzia che stare da soli non ci farà certo soffrire più di quanto non sia già accaduto. E fermare ogni movimento. Smettere di credere che andando avanti, per quante tempeste si dovranno affrontare, qualcosa di bello da sentire arriverà. È per questo che molte persone ci affiancano, ma sembrano non esserci veramente? L’amico per il quale sei il migliore, fino a quando non gli chiedi aiuto o non ti mostri fragile, il compagno che non si vuole impegnare. Zero pesi, zero legami, siamo nella condizione in cui pensiamo che questa solitudine possa bastarci. E la difendiamo. Non ci sbilanciamo per nessuno. Pensando di avere già tutto e facendoci bastare ogni giorno quello che ognuno, da solo, ha.

Ma se poi ci si accorge, un giorno, di non avere niente? Se un giorno ti accorgi che sono dieci anni che aspetti il momento giusto per andare a convivere e ancora non lo hai fatto?

A volte la solitudine strafottente è il peggior nemico di noi stessi, perché non riesce a farci capire se da soli stiamo davvero bene, oppure se è solo una maschera che indossiamo ogni giorno per rimanere immobili, per non rischiare di cadere vivendo, per evitare il vento, la tempesta, il mare mosso, il sole, la siccità, la pioggia curatrice, per non sentire niente, a parte il dolore. Perché se un dolore continua a farsi sentire, prima o poi diventa normale. Ci si abitua. E cambiare le proprie abitudini è il vero ostacolo che separa la solitudine strafottente dal sentire cosa si desidera davvero.

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lunedì 30 Dicembre 2024