Intervista al giovane upcycler Cosimo “Cocorito” Firmani: tra brand sostenibili e la sua Ascoli Piceno
Cosimo Firmani, per gli amici Coco e in arte Cocorito, classe ’03 di Ascoli Piceno, dove frequenta l’ultimo anno del Liceo Artistico Licini, è già un nome nel mondo dell’upcycling, ovvero il dare nuova vita a capi di abbigliamento ormai “d’epoca”, personalizzandoli. La vena artistica di Coco era già chiara dalle scuole medie con le prime custom fatte in casa ma la sua passione per la moda e per il disegno, unite alla grande manualità, si stanno ora trasformando in un vero e proprio lavoro, chiaramente apprezzato a giudicare dalle collaborazioni con nomi come Lorenzo Jovanotti e Tananai, entrambi cantanti, o Davide Vavalà e Yasmin Barbieri, influencer.
Da dove nasce la tua passione?
La passione è nata già alle scuole medie quando ascoltavo rap e vedevo i miei artisti preferiti vestire grandi firme, mi sono avvicinato così allo streetwear. È stata poi mia madre a funzionare da catalizzatore, lei ha lavorato per nomi come Hogan e Tod’s e ha notato la mia bravura nel disegno, un elemento chiave nella riuscita dei miei progetti. Il suo suggerimento fu proprio quello di provare a vendere i miei prodotti ma ho cominciato a farlo concretamente solo negli ultimi due anni.
Parlando del mondo del customizing, si è creata una sottocultura nell’hip hop, come ci si afferma in questo mondo? Come ti sei mosso per iniziare?
È un mondo ancora di nicchia ma credo che sarà molto in voga nei prossimi anni perché non si rendono semplicemente molto personali dei capi di abbigliamento, si riesce nel dare un nuovo scopo a modelli di Levis fermi anche dagli anni ’90: è sostenibile e riuscirà nel prendersi una grande fetta nel mondo della moda. Io, nello specifico, ho cominciato a ideare capi che piacevano ai miei amici, ho fatto conoscenze che, unite alla mia “fame”, hanno consolidato il mio nome ad Ascoli, poi sono passato all’uso dei social. Le prime sponsorizzazioni su Instagram sono state notate da qualche piccolo influencer e ho scambiato lavoretti con un po’ di pubblicità. Gli esempi di circostanze simili sono quelli in cui ho lavorato per Davide Vavalà, ex collegiale, mi ha cercato lui stesso, e Tananai, con cui sono entrato in contatto tramite il suo manager.
Parlando del Cosimo “persona”, qual è il tuo legame con Ascoli? Le Marche sono state un buon punto di partenza? Sono una regione importante per la moda italiana.
Certo, è un’ottima regione per le scarpe, il problema è che Ascoli mi rimane un po’ stretta. Tenendo conto che i miei prodotti sono per ragazzi, quindi con un target specifico, c’è da ampliare la platea e anche per questo ho inviato una richiesta all’Istituto Europeo di Design, lo IED: la mia idea è quella di frequentare un corso di fashion design. Il legame affettivo con la città è molto forte in ogni caso, Ascoli è stata un’ottima base, sia lavorativamente che artisticamente: ho cercato di utilizzare spesso materiali che richiamassero elementi chiave della città, come il colore del travertino, padrone del centro storico. Ho anche cercato di affidarmi a ditte locali per l’ottima qualità dei loro prodotti, sicuramente è un buon punto di partenza ma non è quello che ho in mente per il mio futuro.
Nonostante sia ancora un fenomeno di nicchia le persone impegnate nell’upcycling crescono quotidianamente in maniera esponenziale, cosa pensi a riguardo?
È una grande possibilità ma non va sottovalutata. Molti pensano sia un percorso facile, credono di ultimare un lavoro, caricarlo su Instagram e venderlo in breve, ma non funziona così. Devi cominciare a conoscere i tessuti, utilizzando le basi giuste, lo stesso vale per i colori: ho visitato ditte – anche all’estero – per capire quali fossero quelli più funzionali per le mie basi. Ovviamente devi avere una grande manualità, non è un lavoro fatto in stampe serigrafiche. Quando lavoro, poi, c’è sempre dietro un’idea da articolare, arrivando a impiegare cinque o sei ore per capo. Quando qualcuno mi dice che con gli stessi soldi potrebbe comprare dieci capi da grandi marchi ha sicuramente ragione, finisce però nel supportare il fast fashion, danneggiando se stesso e la società: nel vestire serve consapevolezza.
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
Il mio sogno da quando ho iniziato è quello di avere un brand e di poter puntare su qualità del lavoro, dei tessuti e del fit. Ritengo essenziale il fit: ho sempre vestito largo e non mi accontento del fit che cade “normalmente” sulle scarpe, l’ho sempre ricercato largo, street ma non troppo.
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domenica 22 Dicembre 2024