Meglio poveri ma felici?

Abbiamo già parlato del World Happiness Report e della classifica dei Paesi più felici al mondo, in occasione della Giornata internazionale della Felicità. Non serve ribadire che purtroppo l’Italia è al 33esimo posto, dopo la Spagna e prima del Kosovo, superata nettamente dai Paesi scandinavi ma anche da Germania e Francia. Sopra di noi anche Costa Rica e Romania.

Ma, al di là di queste graduatorie, cogliamo l’occasione per riflettere sul rapporto tra ricchezza e felicità, tra soldi e benessere.

Presi singolarmente, i concetti di ricchezza e di felicità sono molto ampi e cambiano a seconda di parametri del tutto personali.

Senza cadere in banalità del tipo “è meglio piangere in una Rolls Royce che in un vagone del metrò“, è logico affermare che una persona indigente sarebbe più felice se avesse i soldi per non dormire per strada, o per stare al caldo e per vivere dignitosamente.

Ma sarebbe altrettanto logico pensare che, nonostante la quarantina di magliette presenti nell’armadio, l’acquisto di un’ulteriore maglia non farebbe una differenza significativa? Diamo per scontata l’infelicità di chi non può vestirsi con abiti puliti e diamo per altrettanto scontata la felicità di chi invece ogni giorno può vestirsi in maniera diversa.

Quando spendere soldi ci rende davvero felici? Esiste un concetto più profondo di felicità? E come si lega al denaro?

Nel 1974, alla Southern Carolina University, il professor Easterlin stava studiando la relazione tra felicità e reddito, scoprendo che sono direttamente proporzionali, ma fino ad un certo punto. Fino a quando tutti i nostri bisogni primari sono effettivamente soddisfatti. Dopo tale soglia, la felicità può addirittura subire una brusca diminuzione. È quello che viene definito come il Paradosso di Easterlin.

Nel 2010, Daniel Kahneman (premo Nobel per l’economia nel 2002) e Angus Deaton (premio Nobel per l’economia nel 2005) hanno dato un valore concreto a questa “soglia della felicità” e si attesterebbe attorno ai 75.000 dollari all’anno.

Kahneman e Easterlin hanno definito inoltre l’effetto treadmill (ovvero l’effetto tapis-roulant). Riassumendo, la ricerca del denaro rischia di farci correre su un tapis roulant dove siamo sempre fermi nello stesso punto: ci affanniamo per inseguire il denaro, ma senza un obiettivo finale. Qual è dunque la soluzione a questa eterna corsa?

Come scriveva Aristotele:

“La vita dedicata alla ricerca del guadagno, poi, è di un genere contro natura, ed è chiaro che non è la ricchezza il bene da noi cercato: essa, infatti, ha valore solo in quanto “utile”, cioè in funzione di altro.”

Nell’Etica Nicomachea, Aristotele per primo disse che la felicità è il sommo bene a cui ogni individuo aspira, è lo scopo della vita. La felicità è εὐδαιμονία, da εὐδαίμων “felice”, composto di εὖ “bene” e δαίμων “demone; sorte”, cioè “buona riuscita del tuo demone”. Cosa si intende con la parola demone? È la tua vocazione, la tua arte, ciò per cui sei nato.

E quindi diremmo che la prima cosa da fare sia conoscere se stessi, conoscere qual è il proprio demone, cosa ci spinge a fare le cose che facciamo. Quando si conosce il proprio demone, bisogna realizzarlo bene (εὖ). Però ad una condizione: κατὰ μέτρον, secondo misura. Ne parla chiaramente Umberto Galimberti:

“La realizzazione di sé è dunque il fattore decisivo per la felicità. Ma per l’autorealizzazione occorre esercitare quella virtù capace di fruire di ciò che è ottenibile e di non desiderare ciò che è irraggiungibile. Quindi la ‟giusta misura”. ‟Katà Métron”, dicevano i greci, come contenimento del desiderio, della forza espansiva della vita che, senza misura, spinge gli uomini a volere ciò che non è in loro potere, declinando così il proprio ‟demone”, la propria disposizione interiore non nella felicità (eu-daimonia), ma nell’infelicità (kako-daimonia), che quindi è il frutto del malgoverno di sé e della propria forza, obnubilata dalla voluttà del desiderio. Non dunque una felicità come soddisfazione del desiderio e neppure una felicità come premio alla virtù, ma virtù essa stessa, come capacità di governare se stessi per la propria buona riuscita.”

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giovedì 26 Dicembre 2024