Trento Film Festival: Wild Men
Wild Men è uno dei film presentati al Trento Film Festival per la categoria “anteprime”: sarà infatti disponibile nei cinema italiani dal prossimo autunno. La proposta sembrava molto interessante: negli ultimi anni il cinema scandinavo ha partorito prodotti di qualità, sempre capaci di lasciare uno spazio aperto alla riflessione personale. Avere delle aspettative sul film del danese Thomas Daneskov era legittimato anche dalla presenza di questa “black-comedy” al Tribeca.
Il film racconta la peculiare crisi di mezza età di Martin, interpretato da un ottimo Rasmus Bjerg, e comincia in media res, con un uomo vestito di pellicce, armato di arco e frecce. Si direbbe un vero e proprio vichingo, se non fosse che, appena fallita la caccia, si dirige verso un minimarket per cercare di barattare la propria ascia con birre e sigarette. Il piano del protagonista era quello di allontanarsi in definitiva dalla vita moderna, ma gli risulta impossibile e ne è una prova il fatto che continui a rispondere al proprio smartphone per mentire sul “dove si trova” a sua moglie. La situazione viene scombussolata dall’incontro con Musa, un drug-dealer dallo stampo “internazionale”, che viaggia con un borsone carico di banconote.
Lo strano duo, centrale per tutto il film, si incontra dopo che la macchina del trafficante si schianta contro un alce, quando a bordo del mezzo erano ancora presenti i “colleghi” di Musa, dati per defunti ma che torneranno poi a cacciare il ragazzo per impossessarsi del denaro. Alle costole dei due sarà presente anche la polizia norvegese, di stampo prettamente coeniano: l’idea richiama molto il celebre Fargo, che – proprio come dichiarato dal regista – rappresenterebbe bene la piccola realtà norvegese, alla quale Daneskov si sarebbe ispirato.
La prestazione del cast è pressoché perfetta e riesce nell’intrattenere, nonostante molti sviluppi siano discutibili. A incentivare una visione serena c’è l’onnipresente montagna norvegese – motivo per cui il film è stato proposto al Festival – che fa costantemente da sfondo alle disavventure raccontate. Un grande riconoscimento va proprio ai responsabili della fotografia: è indiscutibile che i panorami mozzafiato siano stati ripresi nel massimo del loro splendore.
Il film non è stato però nel complesso all’altezza di quello che si prospettava: vengono adoperati una serie di cliché cinematografici già visti, e si fa continuamente forza su stereotipi che sfociano nel filone più moderato di quello che risulta un atteggiamento discutibile, giustificato in parte dal famoso “espediente narrativo”.
Per esempio, concentrandosi su Musa – interpretato da Zaki Youssef – si può chiaramente notare come rappresenti una figura stereotipata: un ragazzo di origini nordafricane, coinvolto nel traffico di hashish, con un figlio a carico con il quale non può passare tempo per le già citate noie legali.
La questione “figure femminili” nel film potrebbe lasciare di stucco, dato che sono ritratte con poca attenzione, un po’ come una caricatura: il loro essere più “responsabili” è qualcosa di cui ridere, che assorbe la possibilità di vivere in maniera serena delle figure maschili, come per il protagonista, quasi costretto a rifugiarsi in montagna per scapparne, quando poi, il disinteresse nei confronti della famiglia è chiaro. Basta pensare al legame con le due figlie, trascurate e fuori dai pensieri del vichingo, chiamate in causa solo nel momento di ovvia redenzione finale.
L’umorismo appare “vecchio”, e non è propriamente black humor. Nel caso in cui lo si volesse poi definire tale, rimane molto velato: l’impressione è che per far discutere il pubblico, sia in maniera positiva che negativa, serva qualcosa in più rispetto al cercare di suscitare ilarità con scene in cui si mette in ridicolo la precaria vita sessuale di una coppia – come avviene nel film – dipingendo un quadro di “lei” come un fastidio costante per “lui”.
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domenica 22 Dicembre 2024