Filippo Barbieri (Seconda parte) – Aurora Martinelli

Leggi la prima parte del racconto.

I cocktail delle vite degli altri erano apparentemente simili al suo, ma osservando che nei loro mancava sempre qualcosa, Filippo aveva iniziato ad insospettirsi, cercando di capire se non fosse lui ad avere degli occhiali da sole troppo scuri per vedere i difetti della propria vita. Aveva cominciato a fare più attenzione ai dettagli delle sue giornate, scandagliandone il fondo per trovare, paradossalmente, che cosa mancasse. E questo qualcosa era Dio. Non che fosse ateo o disinteressato, semplicemente non ne aveva mai avuto bisogno e non faceva parte del suo mondo.

Di ritorno dalla sua spedizione interiore, Filippo si era convinto che il suo prossimo obiettivo sarebbe stato quello di trovare Dio, per capire quale tipo di sapore avrebbe dato al drink della sua esistenza. Era però inciampato subito, rendendosi conto che per trovare qualcosa bisogna prima capire esattamente che cosa si sta cercando, e questa consapevolezza lo aveva messo in seria difficoltà. Aveva cominciato ad essere esageratamente recettivo, quasi maniacale, nei confronti di qualsiasi contributo gli derivasse dall’esterno in materia. Aveva provato ad avvicinarsi a vari gruppi religiosi e il suo preferito era quello della chiesetta sotto casa, che credeva un relitto archeologico e che invece si era rivelata affollata di sorrisi di giovani buoni e cari. Ogni volta, però, dopo un momento di trasporto iniziale, si trovava irrimediabilmente con un pugno di acqua in mano, e la sua idea di Dio, più che ad una figura coerente, assomigliava ad un mucchio di pezzi di puzzle sparsi senza possibilità di incastro.

Mai si sarebbe aspettato che proprio dalla radio della sua Audi ferma alla luce rossa del semaforo sarebbe uscito un indizio prezioso per la sua ricerca: Ho visto Dio sotto le mie lenzuola / una mattina d’inizio febbraio / e come un cane gli ho fatto le feste / al quinto piano fra Trento e Trieste.

Che diamine voleva dire? Filippo si rifiutava di pensare che questi versi, che nonostante la sua ignoranza in materia collocava ai limiti della blasfemia, si riferissero sul serio a qualche verità metafisica. Eppure, in qualche modo gli entrarono dentro e lo rapirono: presero possesso del volante, lo guidarono fino alla chiesetta archeologica, gli fecero dimenticare di chiudere l’Audi, ma non di mandare un messaggio a Margherita: “Tesoro, oggi torno più tardi, mi fermo a fare aperitivo coi ragazzi. Un bacio, a dopo”.

Aprì timidamente il portone, e solo a metà della navata si ricordò che doveva farsi il segno della croce. Si sedette su un banco duro e freddo e, semplicemente, stette lì. Evidentemente non c’era nessun altro ostaggio delle parole di quella canzone. Ho visto Dio sotto le mie lenzuola / una mattina d’inizio febbraio / e come un cane gli ho fatto le feste / al quinto piano fra Trento e Trieste. Non poteva certo negare che nel suo legame con Margherita ci fosse qualcosa di mistico, ci aveva pensato ancora in questi termini, però non lo convinceva l’idea che Dio si esaurisse lì dentro. Se fosse stato davvero così semplice, perché nessuna delle persone che aveva frequentato in parrocchia glielo aveva mai spiegato? Perché impiegare così tante risorse, scomodare santi, miracoli, misteri e riti dalle parole, in fondo, incomprensibili, per dire che Dio è… l’amore?

Trasalì chissà quanto tempo dopo che il telefono aveva iniziato a vibrare nella sua tasca. Gli avevano spiegato che non stava bene parlare in chiesa, ma ammirando la sua solitudine nella navata pensò che, trattandosi di Margherita, avrebbe potuto rispondere. Gli uscì un “pronto” a voce bassissima, che a Margherita servì solo come conferma di ciò che già aveva capito.

– Tesoro, non sei a fare aperitivo. Oggi è giovedì, Marco ha calcio, Giulio tennis e Paolo è in palestra. Dove sei finito?

Non era arrabbiata. Margherita non si arrabbiava mai. Era sinceramente curiosa.

– Ci sei tornato, vero?

– …

– Sei in chiesa, vero?

– …

– …

– Sì.

– Arrivo.

Quando il portone d’ingresso si aprì, Filippo non si girò nemmeno, provando una vergogna che non riusciva fino in fondo a spiegare, ma nel tempo che Margherita impiegò a salire la navata, sedersi accanto a lui e dargli un bacio sulla guancia, il suo disagio sparì. Stettero per un po’ in silenzio, finché lui si sentì di romperlo.

– Ho sentito una canzone alla radio. Ho visto Dio sotto le mie lenzuola / una mattina d’inizio febbraio / e come un cane gli ho fatto le feste / al quinto piano fra Trento e Trieste.

Margherita scoppiò a ridere e continuò la canzone per lui, che non ricordava più come andava avanti.

Ho visto Dio sotto mentite spoglie / ma, come sai, potrebbe andare ovunque.

Ma certo. Potrebbe andare ovunque. Non era solo nel tempo con Margherita, non solo nei loro corpi rinfrescati dall’acqua del lago, non solo nei sorrisi dei clienti soddisfatti del suo lavoro, non solo negli amici riconoscenti della sua lealtà. Era anche lì, ma avrebbe potuto essere ovunque. Forse per trovarlo non bisognava cercarlo, ma scovarlo.

Quando Margherita ebbe finito di leggere tutto questo nei suoi occhi, inarcò le sopracciglia con un sorriso.

– Andiamo a casa?

Ora, finalmente, Filippo aveva l’impressione che nel suo pugno di acqua ci fosse anche un pesciolino.

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venerdì 27 Dicembre 2024