Anoressia, la storia di Manuela
Ad uno sguardo superficiale l’anoressia potrebbe sembrare un capriccio, un cercare di inseguire un ideale di bellezza che spesso ci viene “imposto” dall’esterno. In realtà c’è molto di più e Manuela, che è stata dentro a tutto questo e ne è uscita vittoriosa, ha voluto raccontarci la sua storia.
Cosa è stato a spingerti verso l’anoressia?
«L’anoressia non è altro che l’evidenza esteriore di un profondo problema interiore. Ogni persona che soffre di disturbi del comportamento alimentare deve capire quale è il suo per poter guarire. Il mio era un fortissimo senso di colpa nei confronti di una cara persona. Questo, unito a una predisposizione caratteriale ed emotiva, mi ha portata a scontrarmi con la Bestia nascosta dietro l’anoressia».
Come ti sei accorta che stava diventando una malattia?
«Il tema non è la strenua ricerca di mera bellezza e attenzione. È una sfumatura di fragilità umana inserita in un contesto in cui essere belli pare la chiave per essere amati. Il mio errore è stato dirmi “mangia un biscotto in meno”, da tre a due, da due a uno, da uno a zero. Resistenza forzata, inganno agli altri, viscido spasso che a lungo andare mi ha mangiato l’anima. Due anni nel turbine del mio stesso inganno. Era arrivato il momento di farmi aiutare. Ho digitato il numero del CDA (Centro Disturbi Alimentari di Trento) e ho detto alla ragazza che mi ha risposto: “Penso di avere un problema col cibo”».
I tuoi genitori e le tue amiche cosa ti dicevano?
«I miei genitori vedevano che qualcosa non andava ma fingevano di non capire, forse per non essere invadenti, forse per non allontanarmi. Tutti gli altri mi facevano notare che stavo dimagrendo e io ero fiera di questo».
Come ne sei uscita?
«In 3 passaggi. Il primo: aver preso coscienza che stavo male e che ero entrata in un loop mentale che mi stava soffocando. Il secondo: farmi aiutare tramite il team del CDA. Un anno di introspezione per dare un nome a quei “fantasmi dell’anima” che portano ad auto-annientarsi. Il terzo: l’apertura di un dialogo sincero e profondo con me stessa e con Luca, il mio ragazzo, oggi il mio splendido marito».
Ci racconti la tua “fioritura” dopo la guarigione?
«Pensando alla ragazzina insicura e complessata che ero, oggi sono fiera di essere moglie e mamma di due bimbi che riempiono di gioia ogni mia giornata. La mia famiglia è la risposta alla mia guarigione. È il mio orgoglio. Oggi mi sento una persona più matura, che ha imparato a conoscersi e a riconoscere i segnali di “allarme” e a gestirsi. Adoro entrare nel cuore delle emozioni, sviscerarle, commentarle, condividerle. Oggi sono anche una persona ricca di gratitudine».
C’è un consiglio che desideri dare ai nostri giovani lettori?
«Imparate a dialogare con voi stessi, a capire le emozioni, ad andare a fondo nelle cose. Ognuno ha i propri “fantasmi dell’anima”, non abbiate paura di parlarne e trovare una soluzione. Nessuno è perfetto ma tutti, in realtà, lo siamo. Solo amandosi e rispettandosi, si può abbracciare, gustare e vivere appieno la vita».
Hai coniato uno slogan che riassume il tuo percorso, ce lo sveli?
«Tocca il fantasma e… PUFF… il fantasma svanisce».
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giovedì 26 Dicembre 2024